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Food, Storie di alimenti

Sunset la Papaya delle Hawaii

Seguendo quello che può essere considerato un filo logico che narri la storia degli ogm si sbatte inevitabilmente contro quello che può essere definito “ il caso della papaya delle hawaii”. All’inizio degli anni 90 la papaya diventò un “caso” di rilevanza internazionale per le vicende che l’hanno riguardata nelle Hawaii, isole nelle quali rappresenta una delle colture tipiche.

Come sappiamo, la Papaya è una coltura diffusa in molte parti del mondo, tra cui Brasile, Messico, India, Indonesia. Tutte località che sono anche mete turistiche ed è quindi facile aver assaggiato almeno una volta questi frutto. Negli ultimi anni, inoltre, la papaya è sempre più distribuita anche nei supermercati italiani. Si può consumare fresca (come i meloni), oppure trasformata o lavorata in prodotti o ingredienti industriali.

La Papaya è storicamente soggetta all’attacco  di un  virus, il RingSpot  (PRSV) che viene trasmesso da afidi e per  il quale non  esiste una cura.

Al fine  di superare questoi problema, nel  1986, un  nucleo di ricercatori pubblici  non  legati a multinazionali private, guidati da Dennis Gonsalves e provenienti da Università delle Hawaii, Cornell  University e USDA, decisero di portare avanti un  progetto sperimentale finalizzato alla realizzazione di varietà di papaya che  fossero geneticamente resistenti al virus:  la  ricerca si  concluse con  successo nel  1991,  con  la  creazione della  varietà di papaya denominata Sunset, immediatamente sperimentata su campo per  testarne l’efficacia.

Proprio nella primavera del 1992 il virus ringspot si diffuse in tutte le piantagioni di papaya delle Hawaii devastandole. Fino  al 1994 furono messe in campo, senza successo, tecniche di arginamento tradizionali, basate  fondamentalmente  sulla  distruzione delle  piante  infette. Parallelamente, anche a fronte dell’osservazione diretta su campo di una resistenza ottimale da parte delle piante Sunset al virus, furono sviluppate due varietà di papaya per scopi commerciali, la SunUp, di diretta derivazione della Sunset, e la Rainbow, nata dall’incrocio tra la Sunset e la varietà tradizionale locale.

Nel 1995 furono intraprese le procedure per l’ottenimento da  parte della  Food  and  Drug  Administration (FDA), dell’ Environmental Protection Agency (EPA) e del Ministero dell’Agricoltura dell’autorizzazione alla loro commercializzazione. Nella primavera del 1998, con l’ottenimento della licenza, fu possibile iniziare la distribuzione gratuita dei semi di papaya GM agli agricoltori.

Nel 1992  la produzione di papaya era  pari a 26.000 tonnellate: successivamente – a causa del virus – la produzione ha visto un calo progressivo a 19.000 tonnellate nel 1995  e a 12.000 tonnellate nel 1999.

Nel 2006, la varietà GM di papaya rappresentava già il 58% del totale. Non tutti i meriti di una rinascita della produzione locale possono essere, imputati all’introduzione delle varianti GM, che però hanno giocato un ruolo importante, anche nel contenimento della diffusione del virus alle piantagioni tradizionali ancora non attaccate.

Ma l’effetto positivo sul campo si traduce in un boomerang commerciale. Infatti, dopo  alcune verifiche, le varietà GM di papaya prodotte alle Hawaii sono state ritenute accettabili dal Canada nel 2003. Tuttavia, nonostante questa apertura commerciale, Giappone ed Europa non consentirono e non consentono ancora oggi  la  loro  commercializzazione nei rispettivi mercati domestici e importano esclusivamente la variante tradizionale: la chiusura commerciale alla papaya hawaiana ha condotto, come  riconosciuto da tutti i commentatori ad un significativo calo del giro d’affari complessivo per i coltivatori locali.

Se da un lato la salvaguardia della coltura locale appariva a serio rischio, e quindi  l’introduzione delle varianti GM ha prodotto benefici immediati, dall’altro lato il contesto internazionale relativo all’accettazione dei prodotti GM invece ha posto l’economia  locale in una situazione di relativo peggioramento economico-commerciale.

La domanda che si pongono ancora oggi alle Hawaii è: era meglio rischiare di perdere maggiori quantitativi di piante prodotto senza però precludersi molti dei mercati internazionali? Oppure è stato un bene introdurre la papaya GM per combattere e debellare il virus accettando di restare legato agli unici sbocchi commerciali di Canada e USA?

Ref. link per approfondimenti:

Transgenic Papaya in Hawaii and Beyond – Dennis Gonsalves – USDA ERS, Pacific Basin Agricultural Research Center, Hilo, HI
la Papaya OGM – SCIENZA IN CUCINA di Dario Bressanini