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Cibi Criminali, Food

Epatite e Cipolle

Nel 2003 a Monaca, in Pennsylvania, 555 persone rimasero contagiate da virus dell’epatite A in quello che fu un episodio di contaminazione di massa. Le indagini per scoprire la causa dell’infezione portarono ad accusare le cipolle come possibile veicolo del contagio. Come fu possibile che le cipolle potessero aver provocato un focolaio di tali dimensioni?

Dopo gli ultimi due anni abbiamo avuto un incremento di esperti virologi perciò oggi parleremo di virus. Di un virus.

Ma partiamo dall’ultima pandemia, il virus chiamato Sars Cov 2 responsabile del COVID che ormai conosciamo bene è un classico virus respiratorio, ovvero ci infetta quando lo respiriamo, come anche i virus responsabili delle influenze annuali e la maggior parte dei virus che conosciamo. Si tratta di virus che trovano il percorso per colpire tessuti e cellule bersaglio nel tratto respiratorio. Li dobbiamo respirare per infettarci. Paradossalmente molti di questi non ci infettano se, invece di respirarli li mangiamo.

Esistono però dei virus che al contrario ci infettano solo se li mangiamo. Il più noto di tutti è il norovirus (a cui dedicheremo in futuro una puntata) anche il virus protagonista di oggi ci infetta se lo mangiamo: oggi parliamo del virus dell’epatite A

il virus dell’epatite A

Si tratta di un virus a RNA che causa un epatite infettiva, una malattia infettiva acuta del fegato causata dal virus. Molte persone infette presentano pochi o nessun sintomo, soprattutto se giovani. Gli infetti sintomatici possono soffrire di nausea, vomito, diarrea, ittero, febbre e dolore addominale. Raramente può verificarsi un’insufficienza epatica acuta, che può avere effetti letali, più frequentemente nelle persone anziane.

gli alimenti solitamente coinvolti

Quali sono gli alimenti più a rischio di trasmissione di epatite A? l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la lotta alle malattie (ECDC) hanno riportato focolai dove sono state individuate diverse tipologie di alimenti quali veicoli di infezione, come: pesce e prodotti a base di pesce, crostacei, molluschi e prodotti contenenti molluschi, vegetali, succhi non trattati, pomodori secchi, frutti di bosco congelati. in Italia uno degli ultimi eventi degni di nota ha riguardato proprio i frutti di bosco congelati. Nel 2013 diverse partite di frutti di bosco congelati furono trovate contaminate con il virus dell’epatite A tant’è che il ministero della salute emanò una circolare che invitava tutti gli utilizzatori professionali di frutti di bosco congelati, come pasticcerie e gelaterie ad effettuare una bonifica tramite bollitura prima dell’utilizzo.

Noi oggi però parliamo di un altro evento…. completamente diverso

L’evento

Nel 2003 a Monaca, in Pennsylvania si osservò un aumento del numero di persone che presentavano sintomi compatibili con un’infezione da epatite. Dopo che l’infezioni causò tre vittime, le autorità sanitarie decisero di fare uno screening per capire se effettivamente girava il virus tra la popolazione e capire quanti potevano essere colpiti ma soprattutto se ci poteva essere una fonte comune.

Si iniziò quindi un’indagine per capire se le persone colpite erano infette dal medesimo ceppo di virus, tramite un confronto di alcuni tratti del RNA. Il confronto mostrò che effettivamente il virus era il medesimo per tutti, si poteva quindi ipotizzare ad una fonte comune che doveva essere trovate e bloccata. può essere una fonte idrica, un prodotto alimentare, una catena di ristorazione o addirittura un ambiente

L’indagine

inizia quindi una indagine epidemiologica per capire il fattore che accomuna le vittime e che probabilmente è la fonte del problema. il 20 novembre, il CDC riesce a identificare circa 555 persone affette da epatite A che hanno cenato o sono passate da uno specifico ristorante. il CDC risale anche a 13 addetti ai servizi di ristorazione che presentano il virus.

Non c’è dubbio, quello specifico ristorante è la fonte dell’epidemia, ma cosa all’interno del ristorante ne può essere la vera causa? Inizia una caccia al colpevole, le armi utilizzate sono prelievi sul campo incrociati con il ricordo di cosa hanno mangiato le persone infette. Non solo, ci si preoccupa anche di capire quante sono le persone passate dal ristorante nel periodo sotto osservazione e che dovrebbero essere avvertite della possibile infezione. Andiamo con ordine, tramite le transazioni delle carte di credito si individuano 9000 soggetti che hanno cenato o pranzato al ristorante di Monaca. Ad ognuno viene chiesto se presenta sintomi e quali alimenti del menù ha mangiato.

L’ipotesi che il virus fosse portato dentro la struttura da uno dei 13 addetti trovati infetti viene scartata poiché le infezioni dei clienti sono comparse prima rispetto a quelle degli addetti. Per risalire alla causa si identificano le persone che hanno manifestato per prime i sintomi e quindi dovrebbero essere entrate in contatto con il virus per prime, si individua un cluster di 181 persone. Tramite un paziente lavoro di indagine si individuano le 133 voci di menù, quelle che potrebbero non essere casuali. Alla fine si individuano 2 possibili pietanze che accomunano la maggioranza degli infetti: il chili con queso e la salsa leggera.

Entrambe le voci di menu associate alla malattia contenevano cipolle verdi fresche crude o minimamente riscaldate. Tra i casi che hanno riferito di non aver mangiato salsa leggera o il chili, la maggioranza ha comunque mangiato almeno una delle altre 52 voci di menu che contenevano cipolle verdi. Il consumo di una voce di menu contenente cipolle verdi viene riscontrato nel 98% dei pazienti.

Abbiamo trovato il colpevole: le cipolle

Si tratta In particolare di cipolle verdi che provengono dal Messico. Gli Stati Uniti importano notevoli quantità di cipolle verdi dal Messico e non vanno tutte a finire a Monaca in Pennsylvania perciò se realmente è colpa delle cipolle importate dal messico dovremmo avere altri focolai in giro negli USA. Infatti è così, il CDC cerca altri possibili focolai tramite zone in cui è in aumento il numero di casi di epatite A segnalati e trova infatti correlazioni strette (stesse sequenze di RNA) con il consumo di cipolle verdi provenienti dal Messico.

In altri 4 casi si hanno focolai, più piccoli, ma del tutto simili a quello di Monaca, sempre legato a strutture ristorative.

Le conseguenze

Al momento dell’indagine la convinzione dei tecnici era che la contaminazione delle cipolle verdi poteva essere avvenuta in uno dei momenti che andava dalla coltivazione alla consegna, comprendendo anche la manipolazione per il confezionamento del prodotto da parte di operatori infetti. Perciò ci si concentrò soprattutto nel richiedere ai fornitori un più alto livello igienico in tutte le fasi e l’utilizzo di fonti idriche sicure per tutte le fasi post raccolta. Tutte raccomandazioni abbastanza generiche ma che associate ad un buon lavaggio del prodotto prima dell’utilizzo dovrebbe abbassare notevolmente il rischio di presenza di virus.

Tutto vero ma…. qualcuno notò che in realtà alcuni dei fornitori messicani coinvolti adottavano già misure igieniche molto buone e le aziende erano anche certificate per buone pratiche igieniche, quindi in teoria già al top. 

D’altro canto anche a livello di ristorazione, nella maggioranza dei ristoranti coinvolti la manipolazione del prodotto seguiva già rigorose regole igieniche. 

Di fatto qualcosa non torna.

A qualcuno venne l’idea di cercare di capire come si comporta il virus nei confronti di queste cipolle verdi. Di fatto, storicamente, nella totalità dei casi di frutta o verdura coinvolta in contaminazioni da virus epatite A troviamo la presenza del virus sulla superficie del prodotto. Un efficace lavaggio consente di abbattere notevolmente le cariche virali. Ci aspettiamo la stessa cosa anche per le cipolle.

Per confutare questa cosa si è utilizzato un anticorpo (specifico il virus) a cui sono state attaccate delle molecole fluorescenti. Prendendo perciò cipolle verdi in cui è stato trovato il virus e sfruttando l’anticorpo abbiamo visto che l’anticorpo si fissa al virus creando la luminescenza sull’esterno dell’ortaggio. E questo succede se l’anticorpo lo somministriamo ad un prodotto già raccolto. Ma se invece utilizziamo l’anticorpo luminescente durante la coltivazione? cosa succede?

Succede che, incredibilmente, troviamo l’anticorpo anche dentro alla cipolla. Si in colture allevate a terra che in idroponico è stata riscontrata la presenza del complesso virus-anticorpo luminescente all’interno del prodotto.

Ai voglia a lavare per togliere il virus. Nel caso delle cipolle verdi questo virus è in grado di entrare nei tessuti vegetali e rimanere in attesa.

Sia chiaro, le misure di prevenzione igienica sono assolutamente indispensabili ma a questo punto non sufficienti. Per le cipolle verdi il virus deve essere assente nell’ambiente di coltivazione, non deve essere nelle acque, nei concimi, nel terreno.

Può capitare anche a noi?

Noi le mangiamo le cipolle verdi? certo le chiamiamo diversamente ma ne mangiamo in continuazione soprattutto crude nelle insalate: sono i cipollotti.

Quindi potrebbe capitare anche a noi? diciamo che possiamo anche noi entrare in contatto con il virus dell’epatite A tramite alimenti ma difficilmente tramite i cipollotti che vengono coltivati in Italia in condizioni igieniche molto buone. Per il nostro stile di vita e di consumo è molto più probabile prendere questo virus tramite frutti di mare crudi. 

SITOGRAFIA E FONTI

https://www.cdc.gov/mmwR/preview/mmwrhtml/mm5247a5.htm 

https://academic.oup.com/jid/article/183/8/1273/907946

https://www.salute.gov.it/portale/malattieInfettive/dettaglioSchedeMalattieInfettive.jsp?lingua=italiano&id=127&area=Malattie%20infettive&menu=indiceAZ&tab=2

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11262211/

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0168160520304803

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0362028X22074798#section-cited-by