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La storia della Mucca Pazza – parte 1

Una fedele ascoltatrice del nostro podcast, ci ha chiesto di parlare del caso della mucca pazza. Si tratta di una storia veramente importante e molto lunga che copre un arco temporale di almeno 20 anni e ha visto tante fasi diverse con innumerevoli conseguenze. 

Possiamo far iniziare la storia da una vacca del Sussex che poco prima del Natale del 1984 manifesta strani sintomi. Il veterinario che la visita nota che dalla bocca le colava la bava, si guardava attorno impaurita, sussultava e scalciava al minimo rumore e le zampe le tremavano, vacillavano, inciampavano come e fosse ubriaca. La vacca numero 133, così era identificata, morì l’11 febbraio 1985 ed è ufficialmente il primo bovino colpito dal morbo della mucca pazza. I sintomi che presentava si ripeterono anche su altri animali ed è proprio il comportamento strano degli animali colpiti che poi determinerà il nome “mucca pazza”. Il problema però è che poi questi animali non manifestano solo uno strano comportamento ma poi muoiono. La causa della morta è la cosa più importante che si scoprì l’anno seguente. E non si tratta né di un virus né di una malattia batterica.
L’agente che causa la malattia è infatti un prione cioè una proteina che è naturalmente presente nella membrana cellulare ma che può assumere una configurazione, che potremmo definire malata o anomala. Questo evento è però molto molto raro. Ma, una volta innescato, il meccanismo diventa inarrestabile; il prione, la proteina “malata”, induce anche le altre proteina sane ad un cambio di conformazione, e proprio come un contagio, nel tempo, le proteine malate (con la loro configurazione anomala) prendono il sopravvento. A tal punto che sono in grado di cambiare la struttura del tessuto nervoso. Infatti, il morbo della mucca pazza è in realtà l’encefalopatia spongiforme bovina o più semplicemente BSE. Il prione cambia il tessuto nervoso rendendolo somigliante ad una spugna, con dei veri e propri buchi.
Malattie simili, causate sempre da prioni sono note anche in altre specie animali. Quella nota da più tempo è la “scrapie” delle pecore già conosciuta addirittura dal 1732 (anche se in realtà c’è un passaggio nella Divina Commedia con un riferimento a delle pecore matte o folli che potrebbe fare riferimento a questa condizione patologica). In ogni caso. Oggi sappiamo che anche nelle pecore la scrapie è provocata da prioni. È questo aspetto sarà molto molto importante nella nostra storia. Ma non finisce qui, purtroppo anche nell’uomo c’è una sindrome simile la cosiddetta Sindrome di Creutzfeld-Jakobs anch’essa causata da prioni e anch’essa porta ad una degenerazione del tessuto nervoso e poi alla morte della persona colpita. Ma, è molto importante sottolineare, che il morbo di C-J colpisce sporadicamente e naturalmente circa una persona su un milione e normalmente in età avanzata. Abbiamo ormai tutti i pezzi sulla scacchiera. Manca un’ultima osservazione ma fondamentale. E qui devo andare indietro nella memoria e di parecchio. Quasi trent’anni. Quando studiavo biologia molecolare, uno degli esami che mi è piaciuto di più, mi ricordo nitidamente di una mezza paginetta del libro che parlava dei prioni, un argomento che non avevamo trattato in aula. In quelle poche righe si riportava l’osservazione che in certe tribù l’incidenza del morbo di CJ era molto più alta del normale.
In particolare la tribù Fore una tribù della Papua Nuova Guinea che ha come atto finale del rito funerario, la cottura e il consumo del corpo del defunto. In particolare, alle donne e ai bambini veniva affidato l’arduo compito di cibarsi del cervello, come atto di buon auspicio. Questo tipo di pratica viene comunemente definita come endocannibalismo ritualistico, e consiste per l’appunto nel consumare i resti dei propri cari come parte di un rituale funerario. Interessante, ma anche un po’ disgustoso. Purtroppo, però iniziarono a sorgere alcuni problemi. Molti individui, soprattutto donne e bambini, iniziarono a morire di una morte inspiegabile. Una malattia che prese il nome di kuru. Nella lingua Fore, infatti, la parola Kuru significa “tremare per la febbre o per il freddo” e derivava dai tipici sintomi della malattia quali perdita del controllo muscolare e tremore. Erano inoltre evidenti i cambiamenti emotivi, tra cui l’euforia e le risate compulsive, che fecero sì che la malattia venisse chiamata anche “malattia ridente“. Una sorta di follia. Le informazioni fornite dai Fore sulla malattia erano così dettagliate che era possibile ricostruirne, anche se in parte, l’epidemiologia. Alcune testimonianze suggeriscono che la malattia apparve per la prima volta nel intorno al 1900, e poi intorno al 1920. Sebbene si ritenga che Kuru si sia sviluppata in una piccola popolazione isolata, la malattia raggiunse proporzioni epidemiche, a tal punto che si capì che la pratica dell’endocannibalismo permetteva la trasmissione di un agente infettivo non convenzionale.
L’agente responsabile del kuru ha forti analogie con la causa della sindrome di CJ. Ora abbiamo tutti i pezzi sulla scacchiera. Quando nel 1986 si capì che la BSE, ovvero il morbo della mucca pazza, era causato da un prione, qualcuno cominciò a farsi delle domande. Negli anni immediatamente seguenti (fine anni 80) i casi di mucca pazza cominciarono ad aumentare notevolmente. Nel 1988 i casi di animali malati segnalati ufficialmente erano quasi 2.225 e già c’è chi dice che erano molti di più. Nel 1990 i casi ufficiali salgono a 14.400. La preoccupazione tra gli inglesi dilaga e avvengono tante cose in poco tempo: da una parte i politici cercavano di rassicurare i cittadini sulla sicurezza delle carni bovine e fu famoso il caso del ministro dell’agricoltura britannico che si fece riprendere dalle telecamere mentre dava un hamburger a sua figlia di 4 anni per dimostrare che la carne inglese era sana e assolutamente sicura. D’altra parte, però avviarono commissioni e gruppi di ricerca per cercare la causa del problema e capire l’eventuale trasmissibilità. La ricerca delle cause è tanto interessante quanto rapida. Le attenzioni si concentrano sulle farine animali: In Gran Bretagna, infatti, da anni per cercare di ridurre i costi legati all’alimentazione bovina, le frattaglie di ovicaprini venivano trasformate dopo trattamento termico per integrare le farine per bovini, e, in una specie di economia circolare, anche scarti e ossa degli stessi bovini potevano essere utilizzate per l’arricchimento di farine destinate all’alimentazione dei bovini stessi. Una sorta di cannibalismo. Situazione che già molti definivano aberrante. Ma che per quanto aberrante non fu la vera e propria causa del problema. Il problema alla base di tutto fu, incredibilmente, il petrolio.
Infatti, all’inizio degli anni 70 e poi anche nel 79 ci furono delle forti crisi energetiche che fanno sì che i produttori di mangimi riducano la temperatura di trattamento delle farine animali. Una riduzione ritenuta sicura poiché eliminava comunque qualsiasi forma batterica e virale. Ma nessuno poteva pensare al prione, di cui ancora non si conosceva nulla.
La soluzione più immediata fu quella di vietare l’utilizzo di farine animali ai bovini. Sembrava la soluzione. Ma nonostante questo provvedimento il problema rischia di scoppiare. Il governo britannico insiste sul fatto che la malattia non rappresenta una minaccia per l’uomo. Un primo comitato consultivo afferma che il bestiame sarebbe un “ospite senza uscita”. Ma cominciarono a girare voci su gatti domestici che iniziavano a morire a causa di sottoprodotti della carne bovina nel loro cibo. Cinque antilopi che erano state alimentate con mangime per bestiame da allevamento morirono negli zoo britannici a causa di una malattia simile alla BSE. In tutto questo, il governo britannico continua a insistere categoricamente sul fatto che la carne bovina britannica è perfettamente sicura e che la BSE non rappresenta una minaccia per l’uomo. La situazione però non regge e tutto inizia a precipitare. Un gruppo di ricerca sulla trasmissibilità del prione bovino afferma di aver trasmesso la malattia ad un suino mentre un altro gruppo riesce ad infettare dei topi. Tutto ciò non è tranquillizzante. Le domande sulle possibili conseguenze per l’uomo diventano incessanti. Il prione bovino potrebbe quindi passare all’uomo? infettandolo, tramite il consumo delle carni bovine? Il governo precauzionalmente vieta l’utilizzo del latte dai capi che manifestano sintomi. Il mercato delle carni crolla anzi sprofonda. Tutto quanto peggiora costantemente. Nonostante il bando delle farine animali il numero ufficiale dei casi infetti continua a salire nel 1992 se ne contano oltre 37.000 mentre nel 1993 si stima che i casi complessivi di animali malati siano oltre 120.000. ……Ma il peggio deve ancora arrivare……
C’era la paura che il prione bovino potesse passare all’uomo ma non c’era la certezza. infatti fu introdotto in UK il divieto di consumo degli organi più a rischio come milza e cervello. Forse però un po’ tardivamente.
I dubbi sulla possibilità di passaggio del prione dai bovini malati all’uomo furono completamente spazzati via il 21 maggio 1995, quando Stephen Churchill, un ragazzo di 19 anni, diventa la prima vittima conosciuta di una nuova versione della malattia di Creutzfeld Jakobs. Nello stesso anno altre due morti vengono associate alla nuova variante. Solo nel marzo del 1996 il governo britannico capitola e ammette la possibile connessione tra BSE e nuova variante del morbo di di Creutzfeld Jakobs. Il segretario alla sanità britannico dichiara alla Camera dei Comuni che la mucca pazza è la spiegazione più probabile al per i 10 decessi di persone di età inferiore ai 42 anni a causa della nuova variante di di Creutzfeld Jakobs.
Quindi, tirando le somme, i prioni che causano la scrapie delle pecore finirono nelle farine animali, e infettarono alcuni bovini che alimentavano ulteriormente le farine con i prioni, amplificando il numero dei capi infetti. E dai bovini i prioni arrivano anche all’uomo causando una malattia molto simile ma anche molto più rapida del morbo di CJ.